Chiesa di Santa Croce

La piccola chiesa di Santa Croce, poco appariscente all’esterno, posta all’ingresso del borgo antico, a ridosso di Porta Romana, serba al suo interno un prezioso tesoro artistico.
Infatti è quasi interamente ricoperta di affreschi, di epoca ed autori diversi. L’abbandono e le trasformazioni subìte nel corso dei secoli hanno causato la caduta di ampi brani di intonaco affrescato. Gli affreschi della parete sinistra sono in gran parte perduti, mentre l’apertura di due finestrelle, una sul fondo della parete destra e l’altra nella facciata, al centro del timpano, ha provocato l’ulteriore rovina degli affreschi. La chiesetta, sia nelle strutture che negli affreschi, è stata oggetto di ripetuti restauri.
Diamo, allora, una sintetica lettura delle pitture così come sono disposte lungo le pareti, per offrire qualche informazione utile a coloro che sfoglieranno questo calendario, arricchito con le foto degli affreschi della chiesa.

Cominciamo dalla parete di fondo con l’abside, che appare per prima al visitatore che entra in Santa Croce. Sono evidenti le diverse fasi pittoriche. In alto, ai lati dell’abside, abbiamo una bella raffigurazione dell’Annunciazione con l’angelo a sinistra e la Vergine Maria sulla destra. Al centro appare Dio Padre che invia il Figlio e lo Spirito Santo sotto forma di colomba. Maria, raccolta in preghiera sotto un piccolo tempietto, ha accanto a sé un’ancella.
Sulla destra della parete sono raffigurati vari santi: S. Benedetto, parzialmente rovinato, S. Stefano e S. Nicola da Tolentino, S. Francesco ritratto mentre riceve le stimmate, una Madonna con il Bambino. Sulla sinistra, sotto l’angelo, abbiamo dipinti di epoca più tarda: S. Stefano e S. Antonio Abate, S. Caterina d’Alessandria.
Nell’abside osserviamo un affresco, databile al Seicento, con la scena della Crocifissione, in cui, oltre a Maria e all’apostolo Giovanni, sono inserite le due figure femminili di S. Maria Maddalena e di Sant’Elena. Quest’ultima regge una grande croce, per ricordare il suo ritrovamento della reliquia a Gerusalemme.
Volgiamo lo sguardo alla parete di destra, quella più integra. Gli affreschi sono distribuiti su due registri. Quello in basso è organizzato per riquadri in cui è inserita una teoria di Santi e Apostoli. Cominciando dalla parete di fondo abbiamo una prima serie composta dalle figure di S. Maria Maddalena, S. Giovanni Battista, S. Margherita, S. Caterina (o Lucia o Illuminata?) accanto alla Madonna in trono che allatta il Bambino Gesù. Nell’ultimo riquadro è raffigurato l’eremita S. Onofrio che riceve l’Eucaristia dall’angelo. Segue un santo non ben identificato. Si apre, poi, una seconda serie agiografica composta da sei Apostoli, il primo dei quali è San Pietro, ben identificato dal simbolo delle chiavi. Completano il registro un riquadro con una S. Lucia, una Madonna dei Martiri e un S. Monaco.
Il ciclo del registro superiore è opera del cosiddetto “Maestro di Genazzano”, che dipinge sia questa fascia della parete destra, sia quella corrispondente della parete sinistra come pure la controfacciata della chiesa. Siamo alla prima metà del Quattrocento, cioè negli anni in cui regna Papa Martino V, il genazzanese Oddone Colonna (1417-1431), e la committenza di queste pitture risale certamente a una committenza “alta”, che possiamo identificare o con lo stesso Pontefice o con un Cardinale (Prospero?) o un Nobile della sua famiglia.

In ogni caso ci troviamo di fronte ad affreschi che rivelano una chiara visione teologica ed un progetto finalizzato tanto a fissare i punti cardine della dottrina cristiana quanto l’autorità del Papa e il suo primato. Fanno da sfondo ideale alle nostre pitture l’evento del Giubileo del 1423, indetto, appunto, da Martino V e la rinascita delle arti, voluta proprio dal Pontefice genazzanese, promotore della rinascita di Roma dopo un lungo periodo di crisi e di turbolenze. Dunque il primo ciclo, sulla parete destra, si apre subito a destra dell’entrata con le figure alate (in quanto “messaggeri”) dei quattro Evangelisti: Giovanni, Luca, Marco e Matteo. Si vuole, così, evidenziare il ruolo primario della S. Scrittura, dei Vangeli, come punto ineludibile di partenza dell’esperienza cristiana (cosa che sarà riaffermata solo con la Dei verbum del Concilio Vaticano II nel 1965!).
Il secondo riquadro ci rimanda al cuore stesso della fede cristiana: il mistero della Santissima Trinità, qui raffigurata in maniera singolare. Una grande e solenne figura umana, avente però tre teste; con la destra compie il gesto della parola e con la sinistra regge sul ginocchio sinistro un libro aperto su cui si legge: S[anc]TA TRINITAS UN[us] DEUS – TRIN[us] I[n] P[er]SON[is] UN[us] IN ESSE[n]TIA (Santa Trinità, un solo Dio. Trino nelle persone, uno nell’essenza). Sul collo sono innestate tre teste: la centrale è quella del Padre, alla sua destra quella di Cristo, il Figlio. Alla sua sinistra, invece, compare un volto giovanile: è lo Spirito Santo. Le tre teste sono circondate da un unico nimbo trilobo color oro.
Il terzo riquadro presenta un’immagine mariana, che però rimanda alla realtà della Chiesa: la Madonna della Misericordia, o dei Raccomandati, copre con il manto tutta la comunità cristiana qui, però, rappresentata soprattutto dalla gerarchia ecclesiastica e dai nobili, sia uomini che donne. L’ultimo riquadro ci rimanda al mistero eucaristico e alla visione apocalittica, cioè al destino ultimo dell’uomo. L’apparizione dell’Agnello Mistico (simbolo di Cristo) sul Monte Sion, da cui scaturiscono i quattro fiumi del Paradiso, a cui si abbeverano tre pecorelle, indica la fonte della salvezza (l’Eucaristia, il corpo e il sangue di Cristo) e la méta di ogni credente: la visio Dei, la visione di Dio in Paradiso.
Sulla parete di sinistra il ciclo, simmetrico a quello sulla destra, è, purtroppo, frammentario. Sono visibili solo i primi due pannelli: nel primo è raffigurata una suggestiva Crocifissione, rovinata proprio nella figura di Cristo in croce. Nel secondo abbiamo una singolare raffigurazione delle cosiddette “Arma Christi”, cioè gli strumenti e i simboli della Passione di Cristo, tra cui evidentemente il posto centrale spetta proprio alla grande Croce. Questo secondo ciclo illustrava il titolo della chiesa, Santa Croce.
Veniamo, infine, agli affreschi della controfacciata, purtroppo mutilati per l’apertura di una finestra. Tradizionalmente è il luogo in cui viene rappresentato il Giudizio finale. Anche qui il soggetto è presente, ma in una forma ridotta e curiosa; nel timpano, infatti, è rappresentato solo un particolare, ma molto significativo, della scena: l’ingresso al Paradiso, entrando dalla porta vigilata da S. Pietro, di due schiere di beati che convergono processionalmente dai due lati. Probabilmente la scena rimanda al pellegrinaggio giubilare vissuto nell’Anno Santo del 1423, e al “potere” di Pietro, e del Papa suo Successore, di “aprire le porte” del Paradiso.
Sotto questa particolare rappresentazione, si sviluppano due registri, in cui sono raffigurati, attorno alla figura di Cristo Redentore, i Santi che già godono della felicità del cielo. Si va dalla Vergine Madre, che regge in braccio il Figlio, al discepolo prediletto, S. Giovanni; dai Progenitori, Adamo ed Eva, a S. Francesco; dai tre Patriarchi (Abramo Isacco e Giacobbe) ai Padri della Chiesa Latina (Gregorio Magno, Agostino, Girolamo e Ambrogio), e quindi ad alcuni santi particolarmente venerati dai committenti (Maria Maddalena, Stefano, Lorenzo, Silvestro, Apollonia, Reparata, Antonio Abate).
In quest’anno 2016, in cui si celebra il Giubileo straordinario della Misericordia, gli
affreschi della chiesa della Santa Croce di Genazzano possono rappresentare, ancora una volta, con i loro profondi messaggi, una straordinaria guida alla riflessione e un appello a rimetterci in cammino, pellegrini della vita e della fede, sulla via tracciata da Cristo, testimoniata dai Santi, proposta dalla Chiesa.

Mons. Pasquale Iacobone,
Responsabile del Dipartimento Arte e Fede
del Pontificio Consiglio della Cultura